DIGERIBILITA' DELLA PIZZA

Il mercato della pizza è pilotato verso l’utilizzo di farine di forza, le quali spesso e volentieri finiscono per produrre una pizza di solito gommosa, scarsamente lievitata, poco digeribile.
Nel mondo moderno, dove sempre più si ricorre all’utilizzo di palestre per bruciare le calorie in eccesso, produrre e vendere pizza non lievitata, equivale a scacciare il cliente dal proprio locale.

I pizzaioli professionisti animati dall’entusiasmo per le acrobazie e per i concorsi, si lasciano trasportare da questo fenomeno con il risultato che della pizza, oggi, calano i consumi in pizzeria. Statistiche comunitarie pervenute dall’Istituto Europeo della Pizza, evidenziano che, per la prima volta nella storia della pizza, nell’anno 2010 si è verificato un consumo identico di pizza surgelata a quella artigianale.

Segno evidente che i progressi fatti dall’industria sono notevolmente superiori alla professionalità del pizzaiolo artigiano.
Per battere la concorrenza e aumentare la richiesta di prodotto artigianale, occorrerà sempre più produrre pizza lievitata correttamente. Ma non solo, occorrerà anche conoscere più approfonditamente il prodotto farina, il quale, può essere causa di intolleranze e addirittura (come qualche nutrizionista sostiene) essere causa dell’aumento del diabete infantile, per eccesso di carboidrati nell’alimentazione.
Come più volte riportato, l’utilizzo di farina 00 nella produzione di pizza da origine ad un prodotto carico di carboidrati che sono molto assimilabili dal corpo umano.
Carboidrati = glucidi = zuccheri complessi.
Ma se si assume un glucide, questo si trasforma con la digestione in glucosio, e ciò si traduce anche con un aumento della glicemia nel nostro corpo.

Filosofia del Metodo Montignac.

Definizione della glicemia: La glicemia è la quantità di «zucchero» (in realtà di glucosio) contenuta nel sangue. A digiuno la glicemia è di circa 1g di glucosio per litro di sangue.
Fu Jenkins che nel 1981, mise a punto gli indici glicemici sulla base dei lavori realizzati nel 1976 da Crapo. La scala degli indici glicemici serve a misurare quest’ampiezza. Definizione d’indice glicemico: L'indice glicemico misura la capacità di un determinato glucide di alzare la glicemia dopo il pasto rispetto a uno standard di riferimento che è il glucosio puro.
Il livello della glicemia nel sangue è estremamente importante rispetto all'aumento o alla perdita di peso. La glicemia che compare dopo la digestione, infatti, induce la secrezione di un ormone, l'insulina che, in funzione della sua importanza, è in grado di scatenare, o meno, il processo di aumento del peso.
Per lungo tempo si è creduto che tutti i glucidi, a parità di quantità consumata, provocassero una risposta glicemica identica. A partire dalla metà degli anni '70 Crapo, un ricercatore californiano dell'Università di Standford, ha dimostrato che a parità di contenuto di glucide puro, ogni glucide provocava un diverso aumento della glicemia.
Era dunque necessario misurare il potere iperglicemizzante di ogni glucide (il suo potenziale glicemico, se così si può dire) per poi paragonarli tra loro.
L'osservazione dei ricercatori ha dimostrato che per una stessa quantità di glucide, da un alimento all'altro, l'ampiezza glicemica post prandiale può essere molto diversa, poiché esiste nell'alimento una frazione di amido che resiste alla digestione, di conseguenza l'assorbimento può essere più o meno consistente.
Sempre dal mondo scientifico si precisa che: il granulo di amido è costituito di due tipi di componenti molecolari: l'amilosio e l'amilopectina. Questi possono essere associati a lipidi, proteine, fibre, micronutrimenti (vitamine, sali minerali…).
È essenzialmente la proporzione di amilosio rispetto all'amilopectina che determina la natura chimico-fisica degli alimenti amilacei e i loro effetti nutrizionali sull'organismo dell'uomo. Questo rapporto amilosio / amilopectina può essere molto diverso da una famiglia botanica all'altra, ma anche da una varietà all'altra all'interno di una stessa famiglia. Gli amidi di cereali contengono in genere tra il 15 e il 28% di amilosio.

L’indice glicemico di un alimento amilaceo è funzione di diversi parametri:
• Il rapporto amilosio-amilopectina
Sottoposto a un riscaldamento eccessivo dell'acqua, la struttura dell'amido si modifica. I granuli di amido, idratandosi progressivamente, si gonfiano e una frazione di amilopectina passa nella soluzione poi, se il riscaldamento si prolunga, anche una frazione di amilosio passa nelle soluzione. Il risultato si traduce con una viscosità più o meno consistente della sospensione. È il fenomeno della gelatinizzazione dell'amido.
Occorre sapere che, più la proporzione di amilosio è bassa, maggiore è la gelatinizzazione, e viceversa. Si è potuto dimostrare che più un amido si gelatinizza (per via della sua ridotta percetuale di amilosio) più è facilmente idrolizzabile dalle alfa-amilasi (enzimi digestivi dell'amido), maggiore è la sua propensione a trasformarsi in glucosio e più la glicemia ha, ovviamente, tendenza ad aumentare.
In altri termini se un amido contiene una piccola percentuale di amilosio, il suo indice glicemico sarà più alto. Al contrario, con una maggiore presenza di amiliosio la gelatinizzazione sarà inferiore, così come la trasformazione in glucosio, e l’indice glicemico sarà più basso.

Esperimento

In Australia è stato realizzato un interessante esperimento; un produttore di pane industriale ha aggiunto una percentuale di mais speciale con un’altissima presenza di amilosio (>80) al fine di ridurre l’indice glicemico di un tipo di pane bianco tradizionale. L'accoglienza del pubblico è stata, a quanto pare, molto favorevole, soprattutto quella dei bambini,

che generalmente si rifiutano di consumare pane integrale.
Il consumo di alimenti ricchi in fibre solubili, quali prodotti derivati da orzo e avena, è stato associato alla riduzione del tasso di colesterolo nel sangue e alla prevenzione di patologie correlate, quali malattie cardiovascolari (CHD) e diabete (Plaami, 1997). Tuttavia gli studi che mirano a chiarire il ruolo fisiologico delle fibre solubili non hanno dato risposte esaustive. È stato riportato che l’assunzione di cereali integrali, tra cui il frumento (povero in fibre solubili), determina un abbassamento del rischio di CHD in maniera dose dipendente. Al contrario l’assunzione di fibre alimentari e, in particolare, della crusca di frumento, non incide sul livello di colesterolo nel sangue (Truswell, 2002). È stato ipotizzato che la procedura d’isolamento della frazione soluble NSP possa provocare modifiche importanti delle loro proprietà strutturali e fisiologiche. In generale è chiaro che l’assunzione di cereali integrali comporti effetti fisiologici che migliorano la salute e abbassano il rischio di alcune malattie, ma non sono state determinate tutte le relazioni di causa-effetto con gli elementi della cariosside; è possibile che le fibre non rappresenti l’unico fattore di protezione dalle malattie cardiovascolari esercitato dai cereali integrali e prodotti derivati.

Queste informazioni mediche tratte da una mia ricerca in internet e riportate integralmente,
avvalorano sempre più il concetto di lievitazione essenziale applicabile alla pizza. Importante non è l’utilizzo di farine di forza maturate per lungo tempo ma la qualità dei glucidi presenti nell’impasto e il valore dell’indice glicemico in essi contenuto.
Infatti:
• Più una farina a nutrienti al suo interno e più i suoi glucidi saranno assimilabili dal corpo.
• Più glucidi immettiamo nella dieta degli avventori, più rischi di aumento di obesità e di predisposizione al diabete contribuiamo a produrre.
• Un’ottima lievitazione (durante la produzione di pizza) consiste nel trasformare gli amidi in zuccheri semplici i quali dovranno essere trasformati in gas dai lieviti.
• Più carboidrati saranno trasformati in gas, più leggera sarà la pizza.
• Far maturare l’impasto in frigorifero, anche per lungo periodo, non significa lievitare l’impasto, quest’operazione sicuramente determinerà un alto contenuto di glucidi i quali potrebbero creare problemi a chi consuma il prodotto.
• Si fa molta confusione tra una lievitazione mano lattica tipica dell’utilizzo del lievito naturale con quell’alcolica derivante dall’utilizzo dei saccharomyces cerevisiae, che richiedono trattamenti diversi in fase di maturazione e lievitazione degli impasti.
Oggi che la società moderna non richiede alimenti molto nutritivi è necessario che le aziende molitorie studino farine capaci di conferire un basso indice glicemico. Questi prodotti saranno più appetibili e forniranno al pizzaiolo un’arma in più per produrre una pizza più attinente alle esigenze salutistiche del cliente consumatore.
E' mia convinzione che un’informazione sincera, tecnicamente pura dal punto di vista nutrizionale, svincolata da ideologie aziendali legate alla vendita del prodotto farina, darà come effetto un aumento dei consumi e una ulteriore fidelizzazione del consumatore verso la pizza.
Renato Andrenelli