Oggi 01 marzo 2021 su facebook è passato un video che riporto qui di seguito: https://www.facebook.com/paolopriore.pizza/videos/10208248728771481/?notif_id=1614598213742983¬if_t=live_video_explicit&ref=notif in cui si spiega la lunga lievitazione.
Senza nulla togliere alle conoscenze del maestro in questione, che peraltro in alcuni momenti condivido, dal video e dalle sue spiegazioni rimane sempre il dubbio della differenza tra la maturazione della pasta e la sua lievitazione. Sono due momenti ben distinti del processo di produzione della pizza che contribuiscono alla realizzazione della digeribilità del prodotto consumato.
Ma andiamo con ordine; sono d’accordo con chi spiega riguardo il fatto che i panificatori per abbreviare tempi e metodi di produzione hanno inserito nella produzione miglioratori, che altro non sono una sintesi di zuccheri di varia natura aggiungibili per legge e che contribuiscono ad aumentare crottantezza, colore ecc. ecc. Non sono d’accordo quando sostiene che gli impasti per pizza sono diversi da quelli per il pane. Le tecniche di formazione degli impasti sono uguali per i panificatori, per i pizzaioli e per i pasticcieri, l’unica cosa che cambia sono le ricette e i componenti utilizzati, ma la tecnica di formazione degli impaste resta uguale.
Condivido con chi parla sul fatto che oggi sui social vengono pubblicate moltissime foto di pizze che probabilmente sono ben realizzate ma che nella produzione di ogni giorno sarebbero molto difficili da mettere in vendita se le quantità di pizze vendute sia elevato. Quello che resta difficile da capire (e che non viene mai spiegato) è la differenza che esiste tra “maturazione e lievitazione” della pizza.
Sono due momenti molto diversi tra loro e non può essere l’esempio banale della banana acerba a spiegare la differenza tra una lievitazione breve e una a lievitazione lunga. Ma anche in questo caso per spiegare scientificamente il fenomeno dobbiamo suddividere il processo in più punti:
- Fermo restando che ogni prodotto realizzato può essere di gusto e facilmente assimilabile, vedi le piadine, il pane azimo, che non contengono lievito, il processo di lievitazione è un procedimento a tempo, determinato da strumenti di misura che i molini utilizzano per la realizzazione delle diverse farine immesse sul mercato.
- E’ verissimo che il processo di produzione della pizza deve essere preciso e quindi bisogna pesare tutti gli ingredienti, come gli scienziati che hanno veramente studiato la panificazione in toto ci hanno suggerito. A tal proposito il mio punto di riferimento è ancora Giovanni Quaglia che ha scritto “Scienza e tecnologia della Panificazione”. Ancora oggi (secondo il sottoscritto) l’unico trattato in cui sono riportate informazioni serie e verificabili da tutti.
- Anche se si conosce la lievitazione del pane da almeno seimila anni (Storia dell’Alimentazione a cura di Jean-louis Flandrin e Massimo Montanari editori Laterza) già nell’antica Mesopotamia si conoscevano 300 tipi di pane e 34 tipi di birre. La maturazione degli impasti consiste in una trasformazione chimica dovuta agli enzimi presenti che trasformano gli amidi o polisaccaridi presenti in zuccheri semplici, i quali a differenza degli amidi sono facilmente digeribili dal corpo umano. Per questo motivo la pasta deve riposare almeno 24 ore dalla sua formazione e per un tempo definito dall’insorgenza alla superficie della pasta di puntini neri, che non sono come sostiene colui che spiega nel filmato anidride carbonica, ma l’inizio del processo di degradazione della pasta maturata. Questo processo produttivo è necessario per consentire l’acquisizione del sapore tipico del pane e quindi aumentare il gusto della pizza. Oggi questo processo viene effettuato in frigo e molto spesso alla ricetta si aggiungono piccolissime quantità di lievito per evitare che l’impasto (come sostengono i pizzaioli) risulti passato di lievito. Un errore banalissimo in quando acqua e farina fermenta e quindi se non si aggiunge alla ricetta una giusta quantità di lievito la lievitazione della pasta risulterà alterata.
- La lievitazione delle palline avviene correttamente a temperatura ambiente in quando esiste una legge della fisica che ci dice testualmente. Un gas portato a 0°C diventa liquido e un liquido a 0°C diventa solido. Se la pasta per essere lievitata deve essere piena di anidride carbonica (come un palloncino che si gonfia per i bambini) risulta evidente che questo processo deve avvenire a temperatura ambiente e per tutte le ore che gli strumenti di misura dei molini identificano come tempo di lievitazione.
Concludendo possiamo definire prodotto lievitato quello che ha trasformato tutti gli zuccheri presenti nell’impasto in gas. Quando questo processo non avviene la pizza offerta alla degustazione sarà sempre un prodotto che nella fase digestiva risulterà più assimilabile e quindi meno digeribile, con conseguenti effetti negativi sul corpo umano.
Un pizzaiolo intelligente può facilmente verificare quando sopra descritto facendo queste semplice prova: controllare dalla scheda tecnica della farina il tempo di lievitazione, procedere a tenere in frigo l’impasto almeno per 24 ore (o come sempre fa), poi toglie dal frigo una pallina il doppio del tempo di lievitazione previsto dalla scheda, un’altra pallina toglierla l’esatto tempo della scheda e una pallina toglierla come si fa di solito mezza o un’ora prima della stenditura. Procedete a realizzare una identica pizza con le tre palline con diverse ore di lievitazione, noterete che la pizza tolta dal frigo 1 ora prima si cuocerà velocemente rimanendo cruda all’interno, mentre quella che ha svolto tutte le ore risulterà perfetta e quella che invece è stata tolta un tempo definito dai più, troppo lungo, (tanto da essere definita passata di lievito) potrà rimanre nel forno un tempo nettamente superiore alle altre. Segno evidente che non è più presente lo zucchero e quindi quella pizza sarà più croccante e molto più digeribile delle altre. Renato Andrenelli