QK77 o Kamut

Antica parola egizia e termine generico per indicare il frumento: gli egittologi dicono che il significato originario di Kamut è “anima della terra”. È stato scoperto, migliaia di anni fa, nella “mezzaluna fertile”, la regione del Vicino Oriente situata fra l’Egitto e la Mesopotamia. Con la scomparsa della cultura Egizia, anche la coltivazione del grano Kamut ("ka'moet", come lo chiamavano gli Egizi), fu abbandonata. Da allora fino al 1950, il grano Kamut veniva coltivato molto raramente vista la laboriosità della tecnica colturale necessaria. Nel 1977, Mack e Bob Quinn, agricoltori del Montana (Bob, figlio di Mack, era ingegnere agronomo e biochimico comprese il valore di questo cereale speciale) scelsero una serie di semi e cercarono di moltiplicarli nel corso dei dieci anni successivi. I Quinn selezionarono il chicco fino a ottenerne un certificato di protezione della varietà. Il redivivo cereale è stato infine registrato nel 1990 al Ministero dell'Agricoltura USA con il nome di "QK 77". Inoltre, i Quinn depositarono il nome Kamut come marchio commerciale. Da qui nasce il successo commerciale di questo grano coltivato principalmente in biologico che giunge sul mercato nazionale negli ultimi anni del 1990. I MOLINI DEL CONERO Srl, azienda molitoria autorizzata a produrre sfarinati conformemente al Reg. Cee 2092/91, opera ormai da diversi anni nel settore del Biologico ne è divenuta importatore e distributore autorizzato. E' infatti concessionaria della licenza n. 584245 e pertanto autorizzata dalla KAMUT ENTERPRISES OF EUROPE Bvba a promuovere e diffondere tutti i prodotti a marchio Kamut.
Senza nulla togliere ad un’azienda marchigiana mia compaesana che commercializza tale prodotto, il Kamut, (considerato anche dagli esperti prodotto salubre, perché offre possibilità superiori al frumento normale), io mi pongo una domanda che va verso la difesa dei prodotti della nostra terra.
Perché i pizzaioli, bravi e preparati operatori, corrono dietro alle aziende che vogliono mettere sul mercato un nuovo prodotto? C’è forse un business che non riesco a comprendere?. O è solo una strumentalizzazione di una categoria di operatori che si lasciano manipolare?.
Mi sento orgoglioso di leggere che i napoletani hanno saputo combattere per un prodotto della loro terra ( mi riferisco alla DOP della mozzarella di bufala) e al riconoscimento della pizza napoletana Stg. Un prodotto regionale presente in tutto il mondo che dovrebbe far parte del nostro bagaglio culturale, ma soprattutto dovrebbe essere parte del Progetto “vera pizza italiana” di cui tutte le Regioni dovrebbero far parte e che nessun pizzaiolo ancora si sogna di tutelare. Occorre essere più nazionalisti per essere vincenti e fare la differenza (culturale) tra noi italiani e pizzaioli di altre nazionalità che hanno invaso la nostra bella Italia. La mia mente corre ad un tipo di grano che si chiama “Saragolla”. Vecchie varietà di grano arrivate in Italia meridionale nel 400 d.C. e che alcuni agricoltori coltivano ancora in areali limitati dell'alta collina e montagna del Sannio. Sono vecchie varietà che conferiscono un gusto particolare; la mollica dal bel colore paglierino è più morbida, il sapore deciso, la crosta croccante. Le popolazioni locali lo usano per fare pane bruschettato con cui assaggiare l'olio nuovo e gustare le numerose tipologie di formaggio e salumi. La stessa varietà, detta Saragodda, era ancora coltivata agli inizi degli anni '50 a Picerno e a Tito in provincia di Potenza. Chiamato anche saravolle (nel teramano) è un grano lungo, gialliccio, pesante e di gran durata, geneticamente assimilabile al Kamut e con caratteristiche molto simili al grano duro Senatore Cappelli che ha in gran parte sostituito la saragolla nel novecento.
Sia il Kamut che il Saragolla sono grani duri, con alto potere proteico, molto simili come nutrienti di vitamine e sali minerali, anche se considerati dagli esperti molto buoni per l’alimentazione degli atleti e dei più piccoli sono pur sempre grani duri e soggetti a lievitazioni molto lunghe, meglio ancora se con lieviti naturali.

La Barilla, la Società Produttori Sementi di Bologna e Regione Emilia Romagna hanno svolto sessioni di simposio dal 30 giugno al 3 luglio 2008 “From seed to pasta” programmati all’Hotel Carlton di Bologna dove si sono accesi i riflettori sugli anelli della filiera che hanno permesso all’Emilia Romagna di diventare uno dei punti di riferimento per la produzione di grano duro di qualità per Barilla, leader mondiale della pasta. Il Dottor Borasio ha puntato il dito sulla promozione di azioni di filiera per migliorare le produzioni di qualità. A sostegno della loro filiera, hanno un vero e proprio disciplinare di coltivazione e produzione che individua le varietà (Normanno, Levante, Saragolla e Svevo) più indicate per raggiungere
gli obiettivi dichiarati della qualità”.

Anche l’industria va verso la caratterizzazione del prodotto pasta, non con l’aiuto del Kamut, ma facendo leva su tipologie di grano che è patrimonio tradizionale e culturale pienamente italiano. Da sempre l’Italia rurale del Centro Sud ha panificato con questo tipo di grano, tanto è vero, che il pane alle saragolla compare tra i prodotti tipici di molte Regioni del sud. Non solo, ma esiste anche un mini birrificio del pescarese che utilizza la Saragolla per produrre una birra chiara artigianale.

E noi “PIZZAIOLI”? perché lasciamo spazio a tutto quello che i paesi esteri possono commercializzare in Italia e non ci sforziamo di elevare il nostro livello culturale proponendo, tutti insieme, prodotti in cui il valore aggiunto può essere la cultura e le tradizioni del territorio? Nel tempo avremmo prodotti innovativi, diverremmo più competitivi, e non ultimo stimoleremmo il turismo culinario verso le nostre pizzerie con benefici economici per tutti.
Renato Andrenelli