LA PIZZA

qual'è quella Italiana?

Negli ultimi anni va sempre più di moda, parlare di maturazione degli impasti a 90 – 120 ore, lievitazioni spontanee, quantità di lievito impiegato nella formazione degli impasti quasi inesistente, e tante altre variabili che secondo i pizzaioli o pseudo maestri di panificazione cercano di far diventare novità nel mondo della pizza. Anche i media, specialmente le trasmissioni di cucina (che oggi sempre più attraggono l’attenzione del consumatore) sono proiettate verso l’utilizzo di farine di forza per eseguire qualsiasi ricetta. Anche la pizza non si sottrae a questo modo di produzione, che prevede farine ricche di proteine e di carboidrati. Così facendo si predilige la facilità di esecuzione del prodotto senza pensare all’aspetto puramente salubre dell’assunzione di questo prodotto.
Oggi dai pasticcini al pane definito” speciale”, alla pasta (di largo consumo nella dieta italiana), alla pizza ecc. ecc., tutto viene prodotto con farine di media e buona forza. I molini spingono verso questi consumi, gli operatori prediligono queste tecniche di lavoro per la facilità con cui si realizzano prodotti belli da vedere ma di quale qualità?. Operatori di aziende del settore alimentare che si considerano tecnici vanno in giro per il nostro paese (anche all’estero) per dimostrare la facilità di quello che può essere prodotto con le materie prime che l’azienda vende. Non sempre però, una volta che il pizzaiolo dice si a queste metodologie di lavorazione, riesce a incrementare il fatturato aziendale. Molto spesso passare alle tecniche proposte dalle aziende, mette in crisi il punto di produzione, destabilizza il consumatore che non gradisce i nuovi prodotti e quindi s’innesca sulla pizzeria un vortice che porta il fatturato aziendale nella fase negativa rispetto gli anni passati.

Anche facebook, uno dei social più usati dal mondo pizza sempre più, ci fa leggere queste mode che provocano errori nella produzione di pizza che sono visibili dalle foto che i pizzaioli pubblicano. Uno su tutti, certi cornicioni che possiamo definire giganteschi, di scarso gusto da parte dei consumatori. Cotture dove pur nascoste s’intravedono difetti legati alla formazione di piccole bolle sul cornicione bruciate, come anche un’eccessiva colorazione della crosta rossastra tendente al marrone, tutti difetti che evidenziano cattive lievitazioni degli impasti.
Tempo fa dal Giappone un italiano che lavora in loco, ci ha chiesto con una e-mail, come possa essere possibile realizzare una pizza napoletana dal cornicione alto con le bollicine bruciate sulla superficie. Abbiamo risposto che questi prodotti evidenziano difetti di lievitazione e non debbono essere prodotti. Risposta; maestri italiani hanno creato questa moda e anche lui voleva realizzare la pizza si fatta. Io non credo che la vera pizza italiana o la pizza napoletana che vuole essere patrimonio dell’Unesco possa presentare simili problematiche di produzione e immagine.
Harold McGee (plurilaureato americano) nel suo trattato “Il cibo e la cucina - Scienza e cultura degli alimenti, precisamente indica nell’inizio degli anni 40 del secolo scorso l’esportazione delle farine americane verso l’Europa. Indica altresì, da parte dei produttori di farina nello stesso periodo, i primi aggiustamenti di sostanze nutritive nella produzione di farina. Ossia ricomporre la farina con elementi che durante la macinazione vengono tolti o separati da essa.

Ma prima di questi periodi in Italia si producevano un’infinita quantità di prodotti da forno di eccellenza. La stessa pizza, come sostengono i napoletani (nata a Napoli nel 18 secolo), con quale farina era prodotta se non esistevano le farine cosiddette Americane?
L’Italia grazie anche ad Agronomi d’internazionale rilevanza come Nazzareno Strampelli, ha aiutato nazioni come la Russia e l’Argentina (per nominarne alcune) a produrre grani capaci di sostenere il fabbisogno interno delle nazioni, che oggi esportano pure nel nostro paese. A questo punto io mi domando; perché noi italiani, che ci definiamo tanto bravi sia nella produzione di farine che nella produzione di pizza, non siamo più nazionalisti e portiamo all’estero “IL VERO PRODOTTO ITALIANO, QUELLO VERAMENTE COMPOSTO DA INGREDIENTI CHE NASCONO E CRESCONO SUL TERRITORIO ITALIANO?”
Questo comportamento più logico, contribuirebbe a risollevare la nostra agricoltura, il nostro territorio, dotato di un microclima unico al mondo, e soprattutto si potrebbero realizzare prodotti irripetibili in qualsiasi altra parte del mondo per la nostra conformazione geografica specifica. Così facendo avrebbero un valore aggiunto notevolmente superiore al prezzo di vendita dei prodotto farina realizzata con grani provenienti da ogni parte del mondo. La globalizzazione favorisce le nazioni dai territori sterminati a discapito delle piccole nazioni che però possono eccellere in qualità dei prodotti coltivati, per il semplice fatto che, non potendo ottenere grosse quantità di produzioni, devono necessariamente lavorare sulla qualità dell’alimento prodotto per rimanere nel mercato.
Renato Andrenelli